25/05/2018
Settimanale Psicologo
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LE MIE OSSESSIONI
I rituali per rinforzare le insicurezze
Avevo circa 12 anni quando con la mia famiglia andavamo in piscina estiva (erano le vacanze) e io non volevo scendere dalla macchina,restavo l’intera giornata nel parcheggio.
Seduta o sdraiata sui sedili posteriori, non c’èra verso di farmi scendere. Ricordo che provavo vergogna di me nel mondo, provavo qualcosa di terribilmente fastidioso nel mostrarmi.
Qualche anno dopo quando (sempre in occasione delle villeggiature) prendevamo la nave per andare da qualche parte io smettevo di mangiare già qualche ora prima della partenza per assicurarmi di aver digerito tutto nel timore di uneventuale incidente e la conseguente necessità di dovermi gettare in mare; la mia paura era relativa al rischio di congestione nel contatto con l’acqua fredda se fossi stata a stomaco pieno.
Non mangiavo e non bevevo nulla fino al termine del viaggio. Ovviamente non dormivo e restavo attenta ad ogni rumore o cosa sospetta.
Nello stesso periodo avevo l’abitudine di soffiare sui piatti, neibicchieri e sulle stoviglie e sugli alimenti che avrei ingerito, il soffiare mi garantiva (l’idea) che ciò che veniva in contatto con la mia bocca non sarebbe stato contaminato. Soffiavo soprattutto in presenza della mia famiglia, soffiavo via il fiato di mia madre quando mi parlava , mi faceva schifo il fiato delle persone.
Ma ancor prima di tutto questo, quando ero bambina (avevo circa due anni, mio fratello non era ancora nato quindi non potevo averne più di tre) mangiavo col mio gatto, nella sua ciotola, con il gatto ero a mio agio. Non ero a mio agio con gli altri bambini, non stavo bene all’asilo, odiavo quel luogo (e mentre scrivo queste cose ancora ricordo l’odore del refettorio e della mia cartella rosa con la fibbia), quelle insegnanti, quei bambini tutti bravi, carini, più bravi e carini di me, più capaci, io non ero capace non so a far cosa ma non ero capace a stare, non sapevo stare, non sapevo star bene.
Avevo 22 anni ed era estate, ero in vacanza con la mia famiglia in Sicilia. Io e mia sorella dormivano in una stanza con i letti a castello, io scelsi il letto di sopra perché sotto proprio non riuscivo a stare. Fino a quel momento avevo diverse paure o fissazioni del pensiero (come la congestione, il buio, la pura dei tunnel, delle navi, degli ascensori, punture di insetti o animali velenosi, attentati o azioni terroristiche sui mezzi di trasporto pubblico o in luoghi affollati) ma in quell’occasione si cominciarono a presentare una serie di ossessioni vere e proprie.
Non più paure ma convinzioni. Le elenco in ordine di tempo, così come ricordo queste comparvero e le conseguenti azioni che dovevo eseguire per gestirle:
Ero convinta che il soffitto cadesse durante la notte e mi uccidesse e quindi dovevo restare sveglia; ero convinta che la signora delle pulizie delle stanze dell’ostello dove alloggiavamo avesse avvelenato le lenzuola con qualche prodotto durante il lavaggio quindi costringevo mia sorella a leccare e succhiare parte delle lenzuola per verificare che non vi fosse del veleno, potevo dormire, ma mai tranquilla del tutto, solo dopo venti minuti dalla suzione di mia sorella; (venti minuti erano una misura temporale specifica relativa a quando al liceo studiai la morte di Socrate con la cicuta, uno dei veleni più potenti faceva effetto dopo venti minuti, quindi questo era diventato il mio termine di riferimento).
Ero convinta che qualcuno avvelenasse il cibo e l’acqua e di conseguenza obbligavo le persone con cui avevo confidenza ad assaggiare quello che avrei dovuto mangiare o bere (se mi trovavo in posti dove non avevo confidenza con le persone non mangiavo e non bevevo per ore e ore, una volta ricordo dovetti restare in facoltà tutto il giorno per dare un esame e non potendo neppure bere rischiai di svenire).
Inizialmente le ossessioni erano legate all’ingestione di sostanze poi a questo si aggiunsero quelle del contatto con le vie aeree fino all’epidermide.
Dopo il cibo e l’acqua cominciai a convincermi che l’aria fosse stata avvelenata, poi l’acqua con cui mi lavavo, e poi i prodotti per l’igiene (dentifricio, saponetta, shampoo, crema per il viso, trucchi), poi le sigarette, fino alle superfici: le sedie, i cuscini: i tavoli, la tastiera del pc, i pulsanti del telefono, i citofoni, i muri, i marciapiedi e le persone, soprattutto le persone: non potevo più stringere una mano, abbracciare qualcuno senza dovermi andare a lavare e il lavaggio era altra fonte di pericolo perché se avevo fatto testare i prodotti con cui mi sarei andata a pulire l’acqua non poteva essere controllata costantemente.
Non riuscivo a dormire perché se dormivo nessuno poteva controllare. Ho creduto che mia madre, mio padre, mio fratello, mia sorella, il mio fidanzato, la mia migliore amica, mi volessero uccidere. A 23 anni il mio fidanzato mi portò per un consulto psichiatrico. Il medico mi prescrisse una cura di antipsicotici e ansiolitici.
Dopo circa sei mesi di cura decisi di smettere le medicine. Mi davano sonnolenza, ero gonfia, non riuscivo a concentrarmi, a studiare, a fare l'amore con il mio fidanzato. Insomma decisi di farcela senza. Forse in un primo momento mi aiutarono a superare quel meccanismo ma le paure non passavano. Le medicine evitavano solo gli attacchi di panico ma dopo qualche mese cominciai a pensare di non riuscire ad ingoiare e la cosa divenne vera.
Ero costretta a nutrirmi solo con cose liquide o passati, frullati (non potevo ingerire niente di solido perché la mia gola si era davvero stretta).
Continuai per anni ad avere fissazioni. E misi in atto tutta una serie di azioni rituali come il contare, il pulire la sedia, quella dove mi siedo per mangiare a tavola, con un gesto sempre uguale, cinque movimenti in senso orario, allineare le ciabatte prima di dormire, salire sul letto, sempre dallo stesso lato, facendovi prima un giro intorno. Le fissazioni erano legate al pensiero di morire per qualche causa esterna o interna al mio corpo: avevo paura delle malattie, di sviluppare una malattia. Oppure paura che potesse succedere qualcosa. Descrivo di seguito due eventi in questo senso.
Il primo era legato alla diffusione dell'idea della fine del mondo (secondo la profezia Maya) ricordo che per circa tre mesi fino alla fatidica data non riuscivo a dormire, ero in uno stato di ansia tremenda, pregavo, ripetevo dei mantra per esorcizzare, stavo davvero male. Ero convinta che finisse tutto ed ero terrorizzata.
Il secondo evento risale a circa un anno e mezzo fa, anch'esso un delirio paranoide durato circa due mesi. Era estate e lavoravo ad un centro estivo con i bambini. Un giorno per gioco ci facemmo i gavettoni d'acqua con palloncini e secchi. Un mio collega, inavvertitamente, mi graffiò il labbro inferiore con il manico (un po' arrugginito) di un secchio usato per le pulizie, di quei secchi in plastica con il manico inferro. Uscì un po' di sangue, mi disinfettai subito ma la paura del tetano era tantissima. Nei giorni a seguire cominciai ad avere la febbre e delle parestesie. Ero convinta di aver contratto il tetano e che stavo morendo. La febbre non passava. Ho avuto la febbre a 38 per due mesi interi e il terrore di morire ogni istante. Ipocondriaca e psicosomatica. Costrinsi mio padre (che è medico e che mi continuava a ripetere che non avevo nulla) a comprare una dose di antitetanica che poi non volli fare per paura di uno shock anafilattico. Quando, ormai trascorsi due mesi, capii che non sarei morta, la febbre passò. Questo è l'ultimo evento drammatico.
Sono in analisi da circa un anno e mezzo e tutto questo è soprattutto un ricordo. Sto riuscendo a gestire meglio le mie emozioni.
Le fobie attraverso la psicoterapia, sono quasi svanite del tutto. Metto ancora in atto delle azioni ripetitive ma soprattutto dentro casa, quando sono fuori mi accorgo di poterne fare a meno. Adesso mangio, bevo, tocco le cose senza paura, faccio all' amore.
Mi esercito costantemente per evitare di ricadere negli schemi fobici.
Alla radice della paura c'era un abuso e una mancata fiducia negli altri e soprattutto in me stessa. Se la fiducia aumenta, cresce anche la capacità di affrontare le cose, di vederle nella giusta prospettiva.
Ora sono viva.
Sandra
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Contenuti redatti da Giorgio Burdi
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