25/05/2018
Settimanale Psicologo
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ABBIAMO DUE VITE, LA SECONDA INIZIA QUANDO TI ACCORGI DI AVERNE UNA SOLA.
Storia di Elisa
SONO NATA DUE VOLTE MA LA PRIMA NON LA RICORDO
Ho 33 anni, sono in analisi da quasi due e grazie a questo percorso posso dire di essere nata, ora, per la seconda volta.
Posso dire di sapere finalmente chi sono, di saper riconoscere i miei gusti, le mie inclinazioni, le mie attitudini; di saper riconoscere cosa prendere e cosa lasciare, sapermi liberare dalle scorie, di aver vinto i miei stati ansiosi e le mie fobie.
Finora ho trascorso il mio tempo nel distrarmi continuamente da qualcosa, distrarmi dalla paura. Una paura le cui radici lontane affondano nella dinamica familiare, radici che si sono poi ripresentate in esperienze negative fatte nel corso degli anni. La paura di mostrarsi, paura di determinarsi, paura di accorgersi, paura di rendersi capaci, paura di rendersi autonomi.
La paura aveva generato in me la paura di provare, non ero mai riuscita a scegliere, a concentrarmi su una cosa, ad andare fino in fondo, ero sempre sul punto di fuggire, mi sono lasciata vivere fuggendomi in continuazione. Da cosa fuggivo? Fuggivo da me. Fuggivo da un vuoto che sento tuttora ma che adesso è meno potente, soprattutto molto meno influente, meno attraente.
Il vuoto ha una forza attrattiva tale da non permetterci di fare esperienza di noi diversamente da lui.
La mia più grande paura era la morte come cosa imponderabile, e in genere tutto ciò che si mostrava imponderabile e definitivo era frutto di abbandono da parte mia, non potevo pensare di mantenere a lungo un lavoro o una situazione affettiva, un incarico, una responsabilità, un dovere.
La paura di cui non ricordo l'origine mi ha sempre condotto a procedere per moltiplicazione e sottrazione, pur facendo troppo non facevo mai abbastanza, esploravo mille ambienti, mille sfaccettature di me, e in queste mille ipotesi sottraendo la mia vera natura - che è poi quella di ognuno - quella singolare, la nostra identificazione.
Per me era drammatico, impossibile, impraticabile centrarmi, la centratura, l'unicità mi generava il senso di panico assoluto di panico, era l'angoscia dunque potevo solo fluttuare, questo movimento perpetuo mi dava l'idea, mi garantiva l'idea di essere viva.
Ero i miei funzionamenti proiettivi, proiettavo me (una me che non esisteva) in tutto, ero il bambino del centro estivo che piangeva, la signora che chiede elemosina, il cane abbandonato,ero mia madre che si lamenta, mio padre che cerca di mettercela tutta, la piantina che muore per il troppo freddo, ero il tipo incontrato la sera prima al pub, ero l'ex fidanzato che mi chiedeva di rivederci, ero mio fratello malato, ero le amiche che mi chiedevano troppi favori, ero l'uomo che mi ha violentata, ero tutti loro e tutti mi facevano una pena infernale una compassione da non poter gestire, una compassione che non mi permetteva di "dire no", di "dire me" (non ho mai dato voce a me stessa per una vita intera), continuavo ad accondiscendere a tutti i voleri e a tutti gli sfizi degli altri. Non mi sapevo sentire.
Ho fatto esperienze sessuali che oggi capisco non mi piacevano affatto, non mi piacevano ma non ero in grado di valutare, stavo sposando un uomo che non mi piaceva, facevo un lavoro che non mi piaceva, assecondavo i piaceri degli altri, assecondavo e mi facevo andar bene tutto, sopportavo.
Non riuscivo a farmi rispettare, non riuscivo a dire le cose perché automaticamente mi scattava la paura che le persone mi potessero uccidere se contraddicevo un loro volere o un loro desiderio. Potrei star qui per giorni a scrivere uno ad uno i miei anni trascorsi senza esserci, ho fatto un'infinità di cose in cui non c'ero.
Oggi è come se nascessi di nuovo o per davvero. Nascere è esserci.
Prima non ero in-me, e spesso gli altri si accorgevano di questo mio di "star-fuori". Non sapevo quello che mi attraversava, e non sapendo distinguere me dal resto ero perennemente discontinua, nervosa, triste, impaurita, remissiva.
Non riuscivo a identificarmiin qualche cosa e mi disperdevo continuamente in varie attività talvolta lontanissime, temevo la specificità e l'individuazione. Associavo inconsciamente l'individuazione alla costrizione degli istinti, non ero in grado di sapere chi fossi. ero tutto, drammaticamente tutto il possibile.
Ma non mi accorgevo di tutto questo, sentivo solo di star male. Sono entrata in analisi per questo problema e per tutti gli aspetti associati, disturbi dell'umore, ansia, attacchi di panico, fobie, ossessioni, ipocondria.
Ho realizzato seduta dopo seduta l'esperienza di me e ho capito la mia paura, la paura è un'idea, l'ulteriore chiarezza di questo processo risale a qualche giorno fa.
Ho un avuto un rapporto sessuale a rischio e mi è stato consigliato di assumere la pillola del giorno dopo per evitare una gravidanza indesiderata. La mia resistenza iniziale nasceva alla luce di un recondito ma profondissimo timore di assumere una sostanza che avrebbe potuto farmi morire, stesso dicasi, qualche giorno prima, quando avevo paura che due tipi sull'autobus fossero attentatori pronti a farsi esplodere.
La paura di morire nasce dal sentirsi soli, dal non riuscire a riporre fiducia in qualcuno o in qualcosa. Ho ricondotto la paura a questo meccanismo e insieme ho svelato che la paura della morte, non è la paura in sé ma la paura dell'idea.
Non ho paura di morire. Ho paura dell'idea di morire.
Sono rimasta sull'autobus pensando a questo meccanismo della mia mente. Ho preso la pillola pensando a questo meccanismo della mia mente.
E oggi resto qui, con me, a perseverare in questo e a godere la mia vita.
Elisa
Contenuti redatti da Giorgio Burdi
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